giovedì 4 dicembre 2008

"Politichese" questo sconosciuto

La comunicazione politica come strumento chiave di confronto. E come opportunità di dialogo tra istituzioni e cittadini. «Un’arte potente, capace di costruire come di annichilire».

Definitivo tramonto del “politichese” e utilizzo di metodi comunicativi diametralmente opposti: più emotivo ed espressivo il centrodestra, più analitico e moderato il centrosinistra. È questo il quadro linguistico che emerge dalla ricerca “L’italiano al voto”, realizzata per conto dell’Accademia della Crusca per analizzare il linguaggio della politica e frutto dell’analisi di manifesti pubblicitari, blog, dichiarazioni rilasciate da leader e candidati. Il linguaggio politico italiano, secondo la Crusca, tende alla spettacolarizzazione, con frequente ricorso allo scambio di offese e alle semplificazioni: sembra finita l’epoca della politica fatta di eloquenza e di belle orazioni: l’attenzione si è spostata sull’efficacia dell’espressione, sull’aspetto comunicativo, sulla capacità di cogliere l’attenzione dell’elettore.
La grande retorica del discorso ideologico, veicolato nelle piazze e nei quartieri durante i comizi, oggi ha ceduto il posto a un tipo di comunicazione plasmata sulle regole e le esigenze dei mezzi di comunicazione di massa. Niente più metafore, dunque, né discorsi complessi. L’immediatezza espressiva è un must. La parola è legata al gesto, alla capacità di lasciare un segno nella memoria collettiva, anziché, come in passato, alla suggestione intellettuale, all’evocazione di sfumature connesse al mondo della semantica. I messaggi comunicati oggi dal centrodestra e dal centrosinistra, dunque, si declinano diversamente. Anche alla luce delle nuove tecnologie. Ma in che modo? «I punti chiave della comunicazione del centrodestra sono figli della rivoluzione culturale e politica che Silvio Berlusconi ha portato con sé sin dal suo esordio nel 1994» sottolinea Luca d’Alessandro, capoufficio stampa di Forza Italia. «Al bando il “politichese” a favore di una comunicazione semplice, creata su pochi concetti, chiari e condivisibili da tutti». Affermazione che trova riscontro nel programma del Pdl, basato su pochi capisaldi su cui il governo si è sin da subito
messo a lavorare. «Non sono state scritte 281 pagine di programma – evidenzia allusivamente Luca
d’Alessandro –. Perché sono troppe, nessuno le legge e non tutti le capiscono». E il vero errore che la comunicazione politica non deve mai fare è appunto «non farsi comprendere dalla gente».

Parlando di comunicazione efficace, c’è chi sostiene che la destra abbia semplificato la visione dell’Italia, dandole contorni precisi e che la sinistra invece analizzi la realtà attraverso categorie complesse che a volte le fanno perdere il senso della realtà. È davvero così?

«La sinistra ha una scarsa percezione degli italiani. Quando grida allo scandalo censurando un
comportamento di Berlusconi non si rende conto che punta il dito contro un atteggiamento che
invece è da incoraggiare perché porta i cittadini a sentire il premier come uno di loro. Quando
la sinistra parla per slogan non si accorge che lo fa più per affinità con una sua nicchia interna che
con il reale sentire della gente. Silvio Berlusconi ha un legame con gli italiani che la sinistra non ha. Basta vedere l’entusiasmo con cui viene accolto. Basti pensare che il Pdl nasce con uno straordinario consenso durante la campagna dei gazebo dove 8 milioni di italiani si riunirono intorno a lui per mandare a casa il governo Prodi; in quell’occasione Berlusconi fece la famosa “scelta del predellino” suscitando tanto clamore. Ma aveva semplicemente precorso i tempi».

Il consenso conquistato da Berlusconi, dunque, è frutto della sua capacità esprimere messaggi semplici ed efficaci capaci di arrivare alla gente. Quanto questa caratteristica è una dote naturale e quanto invece è “studiata”?

«Silvio Berlusconi è un uomo del fare, un imprenditore. Non si perde in parole, ma va dritto al cuore della questione. E poi è vero, genuino. Lo si vede nel suo modo di comportarsi che non è assolutamente studiato e che tanto scandalizza la sinistra. Lui parla come il popolo, gesticola come il popolo e del popolo ha le debolezze e le forze. E questo piace».

L’evoluzione dei meccanismi della comunicazione ha portato con sé un enorme aumento di informazioni a disposizione. Paragonando il comunicato di un deputato italiano e il video rap di Obama quali sono gli obiettivi di una comunicazione politica moderna? Emergere o provocare?

«Nessuno dei due. Direi piuttosto diversificare. Barack Obama ha impostato la sua campagna lettorale sfruttando svariati mezzi, tra cui anche quello del video rap con l’obiettivo di diversificare il suo messaggio e andare a toccare la più grande parte della popolazione possibile. Ha sdoganato mezzi come Youtube e Internet. Non dimentichiamo che alle convention dei democratici per la prima volta sono stati accreditati anche i blogger, a dimostrazione della rilevanza che tale fenomeno sta raggiungendo in America. Sono mezzi utilizzati anche nel nostro paese. Da Beppe Grillo ad Antonio Di Pietro. Sono indubbiamente utili ma a mio avviso in Italia non hanno ancora preso piede come in altri Paesi, non sono molto recepiti per la loro efficacia».

Come cambiano la comunicazione e il messaggio politico nell’era delle nuove tecnologie?

«Il centrodestra sta lavorando tantissimo con le nuove tecnologie, consapevole che non si può non
tener conto delle nuove realtà in un contesto di comunicazione globale. Gli strumenti che abbiamo a disposizione permettono immediatezza e possibilità di raggiungere un numero sempre più vasto di persone. Primo fra tutti Internet. L’esigenza di approcciarsi con questi nuovi mezzi deriva dalla inevitabile constatazione che il partito in quanto tale si è radicalmente modificato. Al tempo del Pci c’erano le sezioni, ci si incontrava una volta alla settimana, si facevano grandi discussioni. Adesso le sezioni non esistono più. Possono ricrearsi però virtualmente, uno spazio nella Rete dove i simpatizzanti di un partito possono essere coinvolti in determinate iniziative, esprimere il proprio parere tramite sondaggi e forum di discussione, leggere interviste. Creare questi spazi in rete è fondamentale quando l’obiettivo è coinvolgere i cittadini senza pretendere che si spostino».

In futuro dunque, grazie a Internet, i cittadini potranno intervenire sempre di più sulledecisioni dei governanti esprimendo più spesso il loro parere. Crede che stiamo andando verso una democrazia elettronica?

«No. La vera democrazia è quella di tutti i giorni. È quella dei contatti veri, del confronto diretto, del dialogo reale. Internet è solo uno dei tanti strumenti a disposizione. Prezioso, ma elitario. Non si può e non si deve tagliare fuori chi non ha dimestichezza con questo mezzo. La democrazia è di tutti».

Berlusconi Ti odio”: un compendio di tutte le offese della sinistra nei confronti del premier. Qual è la strategia di comunicazione che sottende il suo libro?

«Questo libro nasce da un malessere vero di Berlusconi. Tra il 2002 e il 2003 il presidente aveva cominciato a lamentare insulti violentissimi nei suoi confronti e nei confronti del suo ruolo istituzionale. Abbiamo deciso così di raccogliere queste offese riunendole in “Berlusconi ti odio”, una sintesi di come la sinistra abbia cercato di denigrare il presidente del Consiglio ma anche una riflessione sul perché di questo atteggiamento».

E cosa è emerso?

«È chiaro che esiste un vizio ormai radicato di screditare l’avversario, farlo sparire dal panorama politico attraverso una persecuzione giudiziaria senza precedenti. Nel 2001 Berlusconi aveva vinto le elezioni in modo netto mentre la sinistra era talmente in crisi da far esclamare laconicamente a Nanni Moretti in piazza Navona “con questi dirigenti noi non vinceremo mai più”. Dovendo risalire la china e non volendo farlo semplicemente attraverso l’opposizione in Parlamento, la sinistra pensò bene di demolire il personaggio Berlusconi. Si fece dunque una manovra a tenaglia: da una parte i sindacati che cercarono di massacrare a livello sociale tutto ciò che stava facendo il governo, portando in piazza milioni di persone e dando così un’immagine del Paese allo sfascio; dall’altro i continui attacchi, a volte di una violenza inaudita, rivolti a Berlusconi dal punto di vista personale, umano e politico. In mezzo, l’11 settembre e il conseguente clima di incertezza economica e di ansia generalizzata. Il libro nasce, dunque, per mostrare agli italiani i metodi che la sinistra utilizza per affrontare l’avversario politico. E trasformare in un vantaggio, come ha fatto Berlusconi, un elemento nato con l’obiettivo di danneggiarti è geniale»

© Giusi Brega, Dossier Lazio 2008, Il Giornale

mercoledì 12 novembre 2008

Bisognerebbe avere la tromba di Ninni Rosso per dedicare il suo "Silenzio" ai caduti di Nassiriya.

D'Alema dà a Berlusconi del "porta jella". Lo disse anche, pari pari, il 14 febbraio 2003. Ecco la politica che si rinnova, in contenuti e stile.

martedì 11 novembre 2008

Secondo la magistratura convincere senatori a cambiare schieramento non è reato. Walter, vieni fra gli amici così le coltellate le vedi arrivare...

Eccezionale scoop di Youdem, subito ripreso dal Corsera, che presenta Obama annoiato al discorso di Berlusconi al Congresso. Non è razzismo questo?

Nella vita ognuno ha i suoi tempi di reazione... Compreso chi dovrebbe stare sul pezzo... Ci sono certe abbronzature che fanno male, malissimo.

lunedì 10 novembre 2008

Ma la Carla Bruni che è felice di essere francese è la stessa che difende una brigatista rifugiatasi in Francia per evitare la galera?

Da febbraio alla Camera stop ai pianisti, si voterà con impronte. Al lavoro la Questura per fornire quelle già in archivio.

venerdì 7 novembre 2008

Veltroni al lavoro per concordare con Obama
la squadra di governo


C’è grande tensione in piazza Sant’Anastasia, un’attesa mista a febbre presso la sede del Partito Democratico, per vedere come Obama comporrà il suo staff. Visco spera nel ripescaggio, D’Alema scalpita, Bersani spera, Di Pietro no. Veltroni è arrivato in ritardo per essere passato prima all’anagrafe di Roma a modificare il suo nome di battesimo, da Walter a Uolter. Gli impiegati del comune gli hanno fatto storie: “E’ già la terza volta che viene. Prima aveva cambiato il cognome in Veltronì, in onore della Segolène Royal, poi è tornato all’originale non appena la candidata presidente ha preso una sonora bastonata nella corsa all’Eliseo. Adesso vuo’ fa’ l’ammerikano. Adesso basta”.

Risolta la grana, Veltroni in fretta e furia si è chiuso nella sua stanza e dal quartier generale del Pd si è subito messo al telefono per trattare con Obama la squadra di governo, lo staff della Casa Bianca. I cronisti politici che si ammassano dietro la sua porta lo hanno sentito urlare con la grinta che gli è propria: “Eh no, caro Barack, io ti ho consegnato l’America in un piatto d’argento, hai usufruito delle mie migliori teste d’uovo per individuare la strategia vincente, ti ho mandato la Melandri, privandomi per una settimana di una risorsa fondamentale per il mio partito qui in Italia, che ha spianato la strada al tuo trionfo convincendo a votare milioni di donne. Come chi è la Melandri? Adesso non fare il finto tonto”. Subito dopo si è sentito un gran trambusto, rumore inequivocabile di un telefono sbattuto. Chi era presente alla conversazione ha gonfiato orgogliosamente il petto dopo aver assistito alla prova di forza di Veltroni. Qualcuno ha però giurato di aver chiaramente sentito dall’altro capo del filo una linea che s’interrompeva prima della sfuriata di Uolter. Menzogne messe in giro ad arte dal centrodestra, tagliano corto da piazza Sant’Anastasia. Gliel’ha cantata, va dicendo in giro Bettini. Il pool di cronisti, ubbidiente, prende atto, sorride, approva facendo convinto di sì con la testa come un sol uomo. Si prendono freneticamente appunti.

E nei corridoi impazza il toto-ministri. Si è rivisto Vincenzo Visco, e subito la fantasia ha preso a volare. Con la crisi economica Usa, vuoi vedere che Obama chiede aiuto a lui per tartassare gli americani e fare un po’ di cassa? Avvicinato dalla stampa, Franceschini fa il misterioso: “Vedremo, vedremo”. Per chi è in cerca di notizie, una battuta del genere appare più di una conferma. L’indiscrezione arriva all’orecchio di D’Alema, che entra come un invasato nella stanza di Uolter e sbotta: “Guarda che per il posto di Segretario di Stato ci sono io, io e basta. In tutta l’America non c’è uno più bravo e umile di me… Figurati nel Pd”. Veltroni prende tempo. Vorrebbe piuttosto suggerire ad Obama almeno un nome, quello del ministro del Tesoro. “Se riesco a piazzare Bersani e lui risolve la crisi americana, sai che ritorno d’immagine in Italia? Spianerebbe la strada alla nostra futura vittoria”. Mentre fantastica sui futuri trionfi del Pd squilla il telefono. Lo staff di Uolter trattiene il fiato. Il segretario pure. Ecco che Obama richiama. Invece è Di Pietro. “Caro Uolter, tu adesso chiami Barack e gli dici papale papale di nominare me ministro degli Interni. Altrimenti io denuncio tutti e faccio interdire Obama per incapacità di intendere e di volere. Noi dell’Italia dei Valori siamo i veri artefici della sua vittoria e ci deve premiare”. E’ la scintilla che mancava. Mentre Veltroni spiega pazientemente all’ex pm che proprio non si può fare, perché gli americani sono gente seria e non accetterebbero mai di avere nel governo uno che vorrebbe in galera il principale avversario politico (tanto più se si tratta di un reduce e di un eroe di guerra), nella stanza cominciano le urla ed esplode la rissa. Parisi vuole la Difesa, il giovane Colaninno l’Energia, la Madia, mettendo ancora una volta a disposizione – questa volta degli Usa – la sua inesperienza, chiede di diventare ministro degli affari dei veterani. Uolter, invece di arrabbiarsi, guarda la zuffa della sua squadra e sorride paterno di fronte a tante, legittime, aspirazioni.

Torna a squillare il telefono. E’ la segreteria di Barack Obama. Nel quartier generale cala il silenzio. Veltroni ascolta, poi risponde: “Yes, of course”. Chiude la comunicazione. Il suo staff pende dalle sue labbra. L’attesa diventa insopportabile. Uolter fa un profondo sospiro. “La vice segretaria di Obama ci ha chiesto se possiamo fargli avere una fornitura di mozzarelle di bufala e di sfogliatelle napoletane, perché il presidente americano vuole accogliere nel migliore dei modi, facendolo sentire a casa sua, il premier Berlusconi nella sua prossima visita a Washington. Yes, we can”.

© Libero

giovedì 6 novembre 2008


Le uniche vittorie che Veltroni si gode e festeggia sono quelle degli altri.

mercoledì 29 ottobre 2008

Il Pd annuncia un referendum sulla scuola? Veltroni e Prodi pari son


Dunque, ricapitoliamo. Per due anni, dal 2006 al 2008, la sinistra di Prodi ha paralizzato e mortificato il Paese, lacerata com’era da contraddizioni e immobilismo, in gran parte dovuti all’accozzaglia di partiti e partitini che caratterizzavano l’Unione, nell’ambito di una filosofia del “dentro tutti” che era l’unica possibile per battere Berlusconi. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: la sinistra non ha vinto le elezioni, le ha solo pareggiate, e come forza di governo non è stata in grado di proporre al Paese una soluzione che fosse una, di risolvere un solo problema. Anzi, li ha aggravati.

Veltroni, al Lingotto, cercò di marcare una differenza profonda rispetto al governo e alla maggioranza che lo sosteneva. La giudicò l’unica possibilità di risalire la china dei sondaggi, che impietosamente segnavano un enorme distacco fra Pdl e Pd. Agli italiani doveva far dimenticare il passato più recente e disse: “Andiamo da soli”… Poi si alleò con Di Pietro. E questa fu la prima, grave, contraddizione. Ma continuò a reclamare il suo spirito riformista.

Pian piano ha cominciato a cedere anche su questo punto, perché a strattonarlo è il suo stesso partito. Guida un’opposizione che dice no a tutto, che pensa solo a protestare e a strumentalizzare ogni questione, con il solo scopo di recuperare il terreno perduto con il centrodestra.

Adesso annuncia un referendum contro la riforma Gelmini della scuola. Ieri aveva cercato di far fallire il salvataggio di Alitalia, mentre sui rifiuti di Napoli si è chiuso in un pudico silenzio per evitare figuracce. In aggiunta, Veltroni sta preparando le amministrative stringendo patti e alleanze con quell’estrema sinistra che, “per coerenza”, aveva deciso di lasciare al suo destino prima del 13 di aprile.

E questo sarebbe il modo scelto dalla sinistra per permettere al Paese di rialzarsi? Questo sarebbe senso di responsabilità? Questo sarebbe il riformismo enunciato al Lingotto? Questo rappresenterebbe il taglio radicale con il passato? Questo sarebbe il “nuovo” Veltroni contro il “vecchio” Prodi? In realtà, questo o quello pari son. E non è un bel vedere.